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Publio Licinio Egnazio Gallieno

218 c.a. – Milano, 268
Nato sotto la dinastia dei Severi, fu associato al trono dal padre Valeriano nel 253 durante il periodo storico noto come Anarchia Militare, segnato da conflitti intestini dopo la morte di Alessandro Severo nel 235.
Il giudizio storico su Gallieno non è unanime. Da una parte, infatti, vi è chi lo vede come la figura che permise la sopravvivenza dell’Impero in un momento critico, mentre altri lo considerano alla stregua di coloro che, usurpatori, egli combatté con vigore. Fino al 260, infatti, il suo compito fu prettamente militare e Gallieno si distinse nel respingere numerose invasioni barbariche dai territori romani, mentre al padre spettò anche l’amministrazione dello Stato; tuttavia, proprio nel 260 Valeriano venne catturato dai Sasanidi durante l’assedio di Edessa, forse dopo una sconfitta, come raccontano Eutropio, Festo e Aurelio Vittore, o forse per tradimento. Gallieno si trovò così da solo a governare un Impero lacerato: in Gallia, l’usurpatore Postumo stabilì un proprio regno, mentre, in Oriente, i Sasanidi avanzavano ormai incontrastati e solo un altro usurpatore, Odenato, riuscì a contenerli, tanto da essere riconosciuto come dux e corrector totius Orientis dallo stesso imperatore. Odenato, re della città di Palmira, morì nel 266 o, al più tardi, nel 267; Gallieno rifiutò di accettare la sua successione da parte della moglie di questi, Zenobia, e del figlio Vaballato, ma un esercito inviato contro di loro fu pesantemente sconfitto.
L’Impero era allora diviso in tre, con Postumo e i suoi successori a governare la Gallia e la Britannia, Odenato e poi Zenobia in Oriente e Gallieno a cui restava il potere sull’Italia, sull’Africa, sulla Spagna, sulle province dell’Illirico e della Pannonia, sulla Grecia e sull’Asia Minore. A tutto questo si aggiungevano le continue invasioni barbariche e l’incapacità dei generali di Gallieno di aver ragione delle rivolte, tanto che il fido Aureolo, inviato contro Postumo, passò dalla parte di questi costringendolo a intervenire di persona. Durante l’assedio di Milano, in cui Aureolo si era rifugiato dopo essere stato sconfitto, l’imperatore venne però ucciso dai suoi generali, lasciando ancora una volta Roma, nel 268, priva di una guida.
Se Gallieno è ritenuto un valido comandante militare, capace di leggere nella mutata situazione dell’Impero la necessità di dare mobilità alla cavalleria, separandola dai corpi d’armata ordinari per utilizzarla come supporto nelle situazioni più delicate dello scacchiere, nonché di separare la carriera civile dei senatori da quella militare – questi non ebbero più accesso all’esercito come comandanti, sostituiti da uomini di rango equestre –, altrettanto non si può dire delle sue abilità amministrative. Vicino alla cultura greca, profondamente ellenizzato, Gallieno tentò di presentarsi come un sovrano assoluto e divinizzato, opponendo al nascente Cristianesimo gli antichi misteri eleusini, rito mistico cui egli stesso si era accostato, senza tuttavia avere dalla propria parte il carisma e l’influenza dei Principes antichi, come Augusto. La religione, del resto, era utilizzata in primo luogo come mezzo politico per mantenere l’unità di un Impero allo sfacelo e in questo Gallieno fallì miseramente, finendo per essere ammazzato dai suoi stessi luogotenenti mentre tentava di recuperare la Gallia Cisalpina al controllo imperiale.

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