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Tiberio

Roma, 42 a.C. – Capo Miseno, 37
Nato come Tiberio Claudio Nerone, suo padre, omonimo, era stato pretore e sostenitore di Caio Giulio Cesare; la madre, Livia Drusilla, aveva invece sposato in seconde nozze Ottaviano (il futuro Augusto) nel 38 a.C., avendo divorziato dal marito. Tiberio venne quindi allevato nella nuova famiglia, non perdendo però il legame con la propria gens, la Claudia, che tanti valenti magistrati aveva dato a Roma nei secoli della Repubblica; ricevette un’educazione molto approfondita e improntata all’ellenismo – parlava correntemente il greco, oltre al latino – ed ebbe una solida formazione anche nell’arte militare, tanto che nel 26 a.C. ricoprì l’incarico di tribuno nella guerra cantabrica, per poi diventare questore in anticipo sull’età minima e svolgere successivamente ambascerie per conto del padre adottivo, fino ad arrivare, nel 13 a.C., al consolato.
Quando la madre morì, l’anno successivo, Tiberio si trovò nella scomoda posizione di unico erede di Augusto; questi lo spinse a separasi dall’amata moglie Vipsania Agrippina e a sposare l’unica sua figlia naturale, Giulia, già legata al fido generale Agrippa, morto improvvisamente anche lui nel 12 a.C.: in tal modo, veniva a legittimarsi la successione di Tiberio,  figlio adottivo di Augusto e ora anche genero. Giulia, tuttavia, mal si addiceva alla politica augustea di recupero delle antiche tradizioni repubblicane comprese nell’insieme dei valori del mos maiorum, il “costume dei padri”, perciò Tiberio divorziò presto da lei, forse già entro il 6 a.C., e la donna venne in seguito accusata di adulterio e tradimento. In realtà, probabilmente Giulia aveva preso parte a una congiura contro Augusto ed è questa la vera ragione per cui venne arrestata e mandata in esilio – non la semplice violazione delle cosiddette Leggi Giulie introdotte fra il 18 e il 9 a.C. per riportare in auge il mos maiorum punendo l’adulterio e obbligando i giovani aristocratici a sposarsi.
Ma ormai la carriera di Tiberio era decollata e il trionfo che celebrò dopo aver consolidato i confini germanici gli valse il consolato: all’apice della sua gloria, il futuro imperatore decise di ritirarsi a Rodi, lasciando la vita pubblica. Il destino, però, aveva in serbo ben altro: rimasto l’unico erede di Augusto, fu richiamato a Roma e riprese il ruolo già ricoperto di comandante militare in Germania. Alla morte del padre adottivo, tentennò ancora prima di succedergli: solo il 17 settembre del 14 d.C., trascorso un mese da quando aveva ricevuto il giuramento di fedeltà da parte delle istituzioni statali, accettò il ruolo.
Iniziò dunque la seconda vita di Tiberio, nel segno di Augusto, del quale preservò l’opera e le politiche rafforzando la propria posizione rispetto al Senato e quella di Roma ai confini, amministrando lo Stato con oculatezza. Fu aiutato nelle imprese militari da Germanico Giulio Cesare, della gens Iulia, che guidò l’esercito in spedizioni vittoriose tanto al di là del Reno quanto in Oriente: secondo gli storiografi antichi, non è da escludersi che la morte di questi, avvenuta nel 19, sia stata dovuta a un avvelenamento voluto proprio da Tiberio, invidioso del suo successo. Il sospetto si fece strada a corte e l’atteggiamento di Tiberio mutò: affidatosi al prefetto del pretorio Lucio Elio Seiano, l’imperatore ormai stanco degli intrighi si avvitò in una serie di processi per lesa maestà e tradimento, finché non decise di ritirarsi a Capri nel 27, lasciando Roma nelle mani dell’ambizioso militare. Seiano, però, utilizzò la propria carica per accrescere il potere di cui disponeva, arrivando a inimicarsi lo stesso Tiberio, che temeva di essere rovesciato, così quattro anni dopo venne ucciso su ordine dell’imperatore stesso. Del resto, si diceva che il prefetto del pretorio avesse fatto ammazzare nientemeno che Druso, figlio di Tiberio e destinato alla successione.
L’epurazione che seguì fu la ragione per la quale gli antichi consideravano Tiberio come un tiranno, almeno nel periodo finale del suo regno; in realtà, si trattò probabilmente di uno dei tanti scontri fra aristocrazia e imperatori che si consumarono nella prima fase post-repubblicana, quando ancora le istituzioni si muovevano nella palude di un’età di passaggio.
Tiberio morì infine nel 37, senza aver più rimesso piede a Roma, ma non per questo essendosi fatto cogliere impreparato dall’ennesima sortita dei Parti, i nemici di sempre dell’Impero, che furono regolati con un misto di diplomazia e pressione militare nella vicenda relativa alla successione al trono della vicina e alleata Armenia.

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