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Settimio Severo

Leptis Magna, 146 – Eburacum, 211
Fondatore della dinastia dei Severi, assurse al rango imperiale dopo una guerra civile che dilaniò l’Impero fra il 193 e il 197: alla morte di Commodo in una congiura, nel 192, nei territori romani si consumò lo scontro fra gli aspiranti al trono, invero molti e supportati dall’esercito, e il Senato, che reclamava invece i passati fasti nonostante la recente monarchia illuminata degli Antonini; a ciò si sommarono le pulsioni centrifughe di alcune province e le rivendicazioni di altre, i cui abitanti erano quanto mai desiderosi di vedere riconosciuto il loro ruolo all’interno dello Stato – bisogna ricordare, infatti, che ancora non era stata estesa a tutti la cittadinanza romana.
Quando fu chiaro che il tentativo del Senato di proporre il modello antoniniano era fallito – Publio Elvio Pertinace, nominato imperatore l’1 gennaio 193 dai soldati della guardia pretoriana, fu ucciso il 28 marzo dello stesso anno –, le legioni dislocate ai quattro angoli dell’Impero ebbero buon gioco ad acclamare imperatori i loro comandanti. 
Settimio Severo, già esponente della classe equestre e proveniente da una famiglia di origine italica trapiantata nella provincia d’Africa, dove i costumi latini si erano almeno in parte persi, aveva compiuto il cursus honorum sotto l’imperatore Marco Aurelio: senatore, poi questore nel 170-171, quindi propretore in Spagna e in Sardegna, tribuno della plebe e pretore ancora una volta in Spagna, ebbe un rovescio politico con l’ascesa di Commodo nel 180 e impiegò sei anni per rientrare nelle grazie del sovrano. Dal 187 fu governatore in Gallia, poi in Sicilia e infine in Pannonia, dove, con tre legioni al seguito, lo colse nel 192 l’uccisione di Commodo e l’inizio della guerra civile.
Da cinque anni aveva sposato l’ambiziosa Giulia Domna, della casa sacerdotale di Emesa, in Siria, e non è da escludersi che proprio la sua influenza lo abbia infine convinto a compiere il grande passo: quando le sue legioni lo acclamarono imperatore, a Roma era stato già nominato dal Senato Didio Giuliano, mentre in Oriente si faceva avanti Pescennio Nigro e, in Gallia e Britannia, Clodio Albino. Come Giulio Cesare ebbe a insegnare al rivale Pompeo due secoli e mezzo prima, la rapidità è tutto in una guerra civile: Settimio Severo, con il vantaggio della posizione, mosse sull’Italia prima ancora che i suoi oppositori potessero organizzarsi e il Senato, quando i pretoriani uccisero Didio Giuliano, non esitò a salutarlo imperatore. Ottenuto un accordo con Clodio Albino, che tuttavia non sarebbe durato a lungo, si volse dunque a Oriente per affrontare Pescennio Nigro, che fu sconfitto nel 193 a Isso, e infine regolò l’altro pretendente a Lione, rimanendo l’unico padrone di Roma e il primo imperatore militare.
La dinastia dei Severi rappresentò l’affermarsi della provincia in quel mondo romano che fino ad allora l’aveva relegata al ruolo di comprimario. Proprio dalla provincia venne anche la riscossa dell’Impero, essendo ormai l’Italia stanca e provata dalle lotte intestine: la base del sostegno di Settimio Severo non fu tanto e solo il Senato, quanto l’esercito che era ormai composto per larga parte da provinciali. L’imperatore tentò di sottomettere i Parti, nemici di sempre, riuscendone a conquistare la capitale Ctesifonte ma dovendosi poi ritirare entro i confini romani, limitandosi a costituire la nuova provincia di Mesopotamia; tuttavia, Settimio Severo era un militare prima ancora che un amministratore, e le sue azioni portarono alla svalutazione della moneta e all’impoverimento dei ceti medi anche a causa della tassazione sempre più alta con cui cercava di far fronte alle spese dell’esercito. Le forze centrifughe non erano affatto domate e l’irrigidimento della burocrazia statale parve l’unica via per mantenere l’unità dell’Impero, anche se già si manifestavano i primi germi della divisione che si sarebbe concretizzata alla fine del III secolo: lontano dalle idee degli Antonini, Settimio Severo volle come successori i propri figli Geta e Caracalla, per i quali pensò a due capitali – Roma e Antiochia o forse Alessandria – e a due Senati. Nel frattempo, però, rivolte di schiavi e ribellioni locali si susseguivano senza sosta, spinte dall’accentramento del potere e dalla povertà dilagante, a cui non faceva da contraltare la maggiore efficienza dell’esercito attesa dalle sue riforme sostenute con l’aumento della tassazione: si stava andando a grandi passi verso la suddivisione in truppe di confine e unità mobili d’élite vigente dalla metà del III secolo. Infine, Settimio Severo morì in Britannia nel 211, senza riuscire ad aver ragione dell’ennesima ribellione locale.

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